Riflessioni su elementi chiave di una rinnovata cooperazione italiana

Roma, 2007 – Queste note intendono formare la base per una discussione introduttiva con le forze politiche interessate su alcuni elementi centrali per il Coordinamento Italiano Network Internazionali (CINI) in tema di rinnovamento del sistema della cooperazione. Non ci sono per il momento né riferimenti specifici ad emendamenti possibili alla legislazione vigente (Legge 49/87) o ad altre bozze di riforma eventualmente in corso di redazione, né s’intende, almeno in questa fase, limitare il campo ad una discussione normativa essendo quello di proporre testi di legge compito delle forze politiche e del Parlamento.

Vogliamo cercare invece di aprire una discussione franca e costruttiva tra le forze aderenti al coordinamento dell’Ulivo e le Ong aderenti al CINI, in vista di una riforma, da più parti auspicata ma ancora decisamente indefinita. A maggior ragione, ci si limita in questa fase volutamente ad elencare una serie di condizioni più di tipo politico generale, che di carattere puntuale, per sottolineare la necessità di un dialogo tra società civile e politica.

Il nostro ragionamento intende, dunque, partire da alcuni elementi di fondo ed ambisce ad aprire un confronto di lungo periodo tra chi scrive ed i riceventi, senza pregiudizio alcuno degli altri rapporti esistenti ad oggi con aggregazioni di ONG di caratteristiche diverse e quindi, è utile sottolinearlo, anche con diverse esigenze e prospettive. Riteniamo positiva l’esperienza dell’appena nato Forum sulla Cooperazione, salvo la necessità di chiarire le forme delle possibili collaborazioni, dato che le nostre organizzazioni sono statutariamente aliene da appartenenza partitiche, mentre il nostro scopo è quello di raggiungere un obiettivo comune a tutti gli attori che si occupano di cooperazione, pure nella loro diversità

Le ragioni dell’interlocuzione

Che le attività di cooperazione allo sviluppo del nostro paese siano ai minimi storici, sia per motivi meramente economici, che, soprattutto, per evidente mancanza di volontà politica, è un dato di fatto, come pure che il quadro geopolitico sia profondamente cambiato dopo gli avvenimenti dell’11 settembre.

Tutto questo presuppone un ripensamento importante dell’idea stessa di cooperazione. Senza entrare in analisi e posizioni politiche che esulano da questo documento, ci teniamo comunque a sottolineare l’esigenza di una riflessione complessiva sul ruolo del paese in campo europeo ed internazionale che non può evidentemente limitarsi alla sole regole dell’ Aiuto Pubblico allo Sviluppo. A nostro parere occorre quindi pensare in termini complessivi, ossia, di ‘sistema- paese’ della cooperazione allo sviluppo includendo, per la parte di competenza di ognuno, tutti i soggetti interessati.

In specifico ONG come le nostre comunicano regolarmente con un numero di cittadini che le sostengono dell’ordine delle centinaia di migliaia ed offrono così un’opportunità di dialogo certamente non contrapposto, ma ulteriore e di diversa natura rispetto alla maggioranza delle organizzazioni di nascita nazionale che oggi sono riconosciute ex lege 49 come idonee. Ma, più importante ancora, le nostre Ong hanno l’esigenza di riferire all’opinione pubblica che le sostiene, anche dell’impegno nel ridefinire un quadro normativo generale che favorisca le attività di cooperazione allo sviluppo come noi le intendiamo. L’impegno sul versante del dialogo politico in vista di una riforma nasce quindi da questo dovere sia vis-a-vis nostri stakeholders sia dalla responsabilità che abbiamo nei confronti dei partners del Sud con i quali cooperiamo.

Le organizzazioni che aderiscono al CINI sono di rilevanza internazionale e quindi, anche se sono italiani coloro che gestiscono le nostre sedi nazionali, noi intendiamo offrire ai nostri interlocutori politici un accesso sereno e costruttivo alla comprensione delle scelte portanti a livello internazionale che le nostre organizzazioni compiono, anche attraverso le associate nazionali, con ricadute in oltre cento paesi del mondo. Immaginando che la Cooperazione Italiana intenda davvero parlare, ma anche concretamente operare, con le grandi ONG che poi impegnano il nostro governo con attività di policy making in tante sedi internazionali, riteniamo che un collegamento importante debba esistere e possa essere nutrito su una fiducia reciproca che nasce, oltre che dalla provata affidabilità dei nostri organismi, anche dal rapporto tra le persone direttamente coinvolte in questo dialogo.

Inoltre, le risorse che le organizzazioni aderenti al CINI mobilizzano ed impegnano in attività “italiane” di cooperazione internazionale, sono attualmente superiori a quelle annualmente investite dalla Cooperazione Italiana per attività da sviluppare attraverso le ONG di origine nazionale.

Queste risorse rappresentano, quindi, un volume di aiuti che risulta complementare a quelli pubblici ma che, a nostro avviso, dovrebbero andare nella stessa direzione, creando un sistema di coerenze politiche e metodologiche tra fondi pubblici e privati che, pur salvaguardando totalmente l’autonomia del non governativo, crei un “sistema della cooperazione allo sviluppo” attualmente totalmente assente nel nostro paese. In particolare, le nostre attività di cooperazione e di lobby interagiscono con quelle di altri dicasteri, con particolare riguardo al Commercio estero, Agricoltura, Sanità etc, e quindi ci sembra opportuno ricomprenderli nella concezione di una riforma che deve necessariamente prevedere collegamenti più ampi di quelli inerenti la cooperazione strictu sensu. Per questo ci riserviamo di avere la possibilità di interagire, per quanto concerne i soggetti della riforma, non solo con gli Esteri, ma tenendo conto di tutti i dicasteri impegnati sui temi che costituiscono la nostra mission. Metodologicamente insisteremo su questo nel prosieguo del dialogo politico.

Spunti di riflessione
Idoneità e soggetti delle cooperazione non governativa

Le Ong del CINI hanno l’idoneità o si accingono a chiederla, non tanto per puntare ad un accesso diretto ai fondi MAE, quanto piuttosto per vedere attribuito al proprio ruolo di Network il riconoscimento di interlocutore importante, nonché per poter interagire con le Istituzioni sul piano del policy-making. Questo per ragioni sostanziali più che formali. In generale crediamo però che, qualora questo istituto volesse essere conservato, le idonee dovrebbero esser realmente ONG in grado di fare con il MAE lavoro con elementi di qualità, non di “sopravvivere” sul monetario dell’official funding. Certamente in tutta Europa le ONG non devono divenire agenzie di servizi che da un lato possono essere utilmente (per parti residuali della propria politica estera) controllate dal Governo, ma dall’altra divengono del tutto incapaci di offrire un contributo significativo alle scelte strategiche di fondo del Governo stesso. Così rinuncerebbero alla funzione vera delle ONG che non può essere di mero servizio, ma risulta di vero stimolo in alcuni altri paesi europei e fuori dall’Europa.

Le ONG scriventi intendono dunque porre la questione dell’idoneità in un contesto più ampio, più sintonico con il quadro europeo nel quale si parla di Identità e qualità.

Le Ong aderenti al CINI sono quindi interessate ad un ragionamento su come sostanziare gli elementi di qualità della cooperazione non governativa ma soprattutto del come sostanziate i termini del dialogo politico tra società civile ed Istituzione.

Riteniamo inoltre che vada riaperto il dibattito sui “nuovi soggetti” di una futura possibile cooperazione allo sviluppo: reti del commercio equo, movimenti in difesa dei diritti umani, componenti ambientaliste o legate al microcredito, e quanti altri abbiano in questi ultimi anni dimostrato di poter avanzare e gestire proposte innovative nel panorama di una cooperazione che è radicalmente cambiata nel merito e nel metodo dall’epoca della 49/87.

Le strutture dell’interlocuzione

Senza entrare nel dibattito, ancora in fieri, sulla o sulle struttura/e che si occuperà o occuperanno di cooperazione (Mae, Agenzia, Presidenza del consiglio, Ministero della Cooperazione etc etc) riterremmo comunque utile che si istituisse un tavolo permanente (come ad esempio avviene in Gran Bretagna) dove le organizzazioni come le nostre non interloquiscano con le strutture preposte solo sul piano progettuale, ma su quello della coerenza tra le policy. Esempi concreti, per non fare solamente teoria, sono le posizioni da assumere su GFATM, le emergenze umanitarie, lo 0,7% (o 0,39%), i Millenium Development Goals, l’educazione ed il digital devide (follow up di Dakar/Palermo e G8), la relazione tra le agenzie internazionali per il diritto al cibo e lo sviluppo rurale basate a Roma e il WTO, il rapporto con le ambasciate, gli ICE, il business italiano nei paesi in cui operiamo e la loro responsabilità sociale…

Naturalmente gli scriventi non intendono suggerire alcun tipo di rapporto esclusivo da costruire per legge ed anzi ritengono che le campagne, coordinamenti, tavoli già esistenti nel mondo dell’associazionismo e della cooperazione italiani vadano valorizzati, ma comunque ricompresi all’interno di una sede unificante ma plurale.

La Coerenza dell’APS italiano con gli impegni presi in occasione dei Vertici internazionali e del quadro europeo.

Questo aspetto, declinabile in sintesi con un ritorno forte al multilateralismo attraverso la UE ed alla complementarietà tra politiche estere nazionali e quadro europeo, è per noi irrinunciabile. Tutto questo, che qui diamo per acquisito nei contenuti, deve essere sostanziato attraverso un aumento totale reale delle risorse generali (0,7? 0,39? 0,23?, 1%?) dedicato ai PVS con la cooperazione.

Reale perché non dovrebbe computare insieme all’APS la pur positiva remissione del debito [che risponde a logiche diverse] né l’eventuale assistenza tecnica fornita da altri dicasteri [tipo innovazione tecnologica] che favorisce sostanzialmente lo sviluppo (positivo) di capacità di interrelazione commerciale, ma non punta primariamente alla riduzione della povertà estrema.

Reale perché pubblico e non fondato su campagne di raccolta fondi dirette impropriamente dalle istituzioni ai cittadini che lasciano l’iniziativa alla buona volontà di quest’ultimi rinunciando alle scelte di allocazione di risorse proprie dello stato, ma non alla possibilità di reclamare la titolarità di tali scelte dinanzi al paese ed alla diplomazia internazionale (in tal senso ci piacerebbe anche discutere a fondo un meccanismo di “De-tax” o altri meccanismi il cui scopo finale deve essere comunque quello di portare la detraibilità delle donazioni al livello degli altri paesi Europei per incentivare le donazioni dei privati e delle aziende e aumentare, sempre al livello degli altri paesi europei, le agevolazioni/esenzioni fiscali per le ONLUS e ONG per riconoscere il ruolo sociale importante del nostro settore. Questo pare un passaggio minimo, alla luce delle pratiche di altri paesi europei in cui lo Stato alloca alle ONG fondi non vincolati equivalenti a quelli che ciascuna riesce a raccogliere dai cittadini.

Per poter fare quanto sopra è necessario definire più chiaramente e in modo più trasparente i requisiti base per poter operare nel terzo settore al di là della nicchia di soggetti oggi riconosciuti dalla Legge 49: criteri di trasparenza, autonomia, qualità dei servizi offerti, rispetto dei beneficiari dei progetti e dei donatori, valutazione dei progetti effettuati, ecc… .

Infatti, purtroppo, in relazione al nome di ONLUS o di ONG in senso lato, attualmente non esiste una serie di criteri di identificazione condivisi o per lo meno i criteri partono sempre da una logica di analisi degli obblighi e facilitazioni fiscali o di relazione con le istituzioni, piuttosto che da criteri oggettivi relativi alla reale natura dei soggetti.

Eliminazione totale del “tied aid” e della cooperazione tecnica quando maschera “tied aid” (come già fatto da molti altri governi europei). In tal senso ci interessa esprimere alcune osservazioni sull’aumento eventuale della spesa per l’APS bilaterale e sull’utilizzo del “multi-bilaterale”.

Block grants/programmi pluriennali al posto di singoli progetti . Esistono amplissimi spazi di miglioramento se realmente si vogliono effettuare interventi di sviluppo multisettoriale e non solo rispondere alle emergenze del momento. Crediamo che la base per innovare radicalmente le procedure burocratiche sia quella di costruire con il mondo associativo un reale rapporto di partenariato, verificabile attraverso quei criteri di qualità degli interventi che abbiamo già evocato.