CAMBIAMENTI CLIMATICI E POVERTA’: UN CONNUBIO DA SCONFIGGERE A COPENAGHEN

Roma, 11 dicembre 2009 – Sono giorni cruciali a Copenhagen per i negoziati sul clima e il CINI – Coordinamento Italiano Network Internazionali, composto da ActionAid, AMREF, Save the Children, Terre des hommes, VIS, WWF e World Vision – richiama la stretta relazione tra clima e povertà: se non si giungerà a un nuovo trattato per far fronte in modo efficace ed equo ai cambiamenti climatici, saranno i più poveri del mondo, i più vulnerabili, a pagare il prezzo più alto.

“Oltre a causare fenomeni più evidenti, quali la fusione dei ghiacciai e il conseguente previsto innalzamento del livello del mare”, dichiara Maria Egizia Petroccione, Portavoce del CINI,  “il cambiamento climatico infatti incide pesantemente sulla produzione agricola, la disponibilità d’acqua, la salute e la possibilità di procurarsi beni di prima necessità”.

Gli effetti sulle popolazioni più povere? Tra il 1990 e il 1998 ci sono stati 568 disastri naturali di grandi dimensioni, di cui il 94% in Paesi in via di sviluppo e 262 milioni di persone annualmente, nel periodo 2000-2004, sono state colpite da disastri legati al clima. Se l’innalzamento degli oceani procederà al ritmo attuale, entro il 2100 il solo Bangladesh avrà prodotto 35 milioni di rifugiati ambientali.

Il cambiamento climatico esporrà al rischio della fame 49 milioni di persone entro il 2020. 1 miliardo e 800 milioni di persone soffriranno di scarsità d’acqua entro il 2025, la maggior parte in Asia e Africa. L’aumento delle temperature porterà a una recrudescenza di malattie infettive quale ad esempio la malaria in vaste aree, tra cui il Brasile, il Sud Africa, il Corno d’Africa. La produzione agricola potrebbe ridursi fino al 50% entro il 2020 in alcuni Paesi. Circa il 95% dell’agricoltura africana dipende dal regime delle precipitazioni e si stima che 70 milioni di africani potrebbero subire gli effetti di alluvioni entro il 2080.

Il cambiamento climatico e il degrado ambientale, attualmente non vengono adeguatamente fronteggiati a causa delle condizioni di emergenza continua in cui vertono le popolazioni della maggior parte dei Paesi in via di sviluppo.

Tali Paesi pagano quindi più pesantemente le conseguenze di una situazione di cui i Paesi ricchi sono in larga parte responsabili. Per questa ragione spetta a questi ultimi il compito di assicurare che la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite per l’Accordo sul Cambiamento Climatico (COP 15) conduca a un nuovo trattato per far fronte in modo efficace ed equo ai cambiamenti climatici.

Queste, secondo il CINI, le misure necessarie:

Trovare un accordo su un regime climatico forte e vincolante a partire dal 2012, firmando un nuovo Protocollo di Copenhagen che sancisca dei nuovi impegni, migliorando quelli di Kyoto;

Assicurare che le emissioni di carbonio raggiungano un picco entro il 2017 per poi diminuire rapidamente subito dopo, allo scopo di tagliare entro il 2050 le emissioni globali di almeno l’80% rispetto ai livelli del 1990;

Trovare un accordo sulla decarbonizzazione delle economie dei Paesi industrializzati entro il 2050 e la riduzione delle emissioni di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020;

Agevolare la transizione verso un’economia a basso consumo di carbonio nei Paesi in via di sviluppo, fornendo 160 miliardi di dollari all’anno per mitigazione e l’adattamento, permettendo l’accesso alle tecnologie pulite;

Sostenere un’azione immediata contro il cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo;

Sostenere l’obiettivo di sospendere tutte le attività di deforestazione entro il 2020.