Vertice ONU sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: il bilancio del CINI

Roma, 23 Settembre 2010Si è chiusa ieri, presso la sede delle Nazioni Unite a New York, la Conferenza di verifica per l’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Sono passati oramai dieci anni da quando, nel duemila, l’unanimità delle nazioni riunite all’interno dell’Assemblea Generale dell’ONU, ha approvato gli otto obiettivi di sviluppo. Il Piano di azione spalmato su quindici anni, 2000-2015 richiede, da parte delle nazioni ricche, un impegno fissato allo 0,7% del loro PIL.

La Dichiarazione finale di questo Summit, dichiara Maria Egizia Petroccione – Coordinatrice del CINI (Coordinamento Italiano ONG Internazionali)  va analizzata alla luce delle tendenze internazionali, ma anche rispetto ai cambiamenti dell‘ultimo anno, dovuti in parte alla presidenza Obama ed al suo nuovo multilateralismo, sebbene sempre a guida americana, che fa sentire l’impronta nel linguaggio utilizzato. La prima cosa che si evidenzia è la centralità che viene attribuita alle Nazioni Unite nella leadership e nel coordinamento degli MDGs. Non è una cosa scontata, se pensiamo alle dichiarazioni di Bolton, ambasciatore USA presso il Palazzo di Vetro per conto di Bush, quando diceva che bisognava “ridurre” l’ONU di una decina di piani. Un altro accenno importante è quello sul rispetto delle differenze culturali, che vengono evidenziate come ricchezza e non come un ostacolo per gli Obiettivi di Sviluppo. In un momento di grandi tensioni internazionali non è poco, anche qui ricordiamo lo “scontro tra civiltà” che andava di moda solo pochi anni fa. Centrale nella Dichiarazione finale, la presa d’atto del ruolo negativo dei cambiamenti climatici e della riduzione delle biodiversità e, di converso, la sottolineatura del ruolo centrale delle donne nei processi di sviluppo. E dunque, tutto bene?

Ovviamente rimangono gli ostacoli di fondo, dato che il quadro di riferimento generale, esplicito e riaffermato all’unanimità, almeno così sembra, dei Paese membri, è quello dell’economia di mercato “regolata” dagli accordi del WTO, dai prestiti della Banca Mondiale e del FMI, soggetti ritenuti centrali nell’armonizzazione del sistema degli scambi commerciali, ed ai quali viene riconosciuto nella Dichiarazione un ruolo positivo nel recente passato e fondamentale per i prossimi anni. Il contraltare di questa centralità inquietante è costituito dall’auspicio che “i paesi in via di sviluppo abbiano più peso nelle loro decisioni”, anche se non si dice come.

Infine, costantemente evocata dalla Dichiarazione come supporto irrinunciabile, anche se non sostitutivo, ai fondi dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, la partnership pubblico-privato, vera ed unica innovazione sostanziale nelle politiche di aiuto, che vedono una progressiva “privatizzazione” di questa parte delle politiche estere dei paesi ricchi, affidate all’interesse dei privati e naturalmente alla loro necessità di apparire filantropici per esigenze pubblicitarie.

Il fronte, variegato ma coerente, delle ONG internazionali presente a New York, ribadisce che gli impegni internazionali verso la povertà sono altrettanto importanti di quelli commerciali, e non vanno subordinati agli affari, che le promesse vanno mantenute perché significano dare un futuro a tutti e disinnescare le tensioni globali che sono legate ai disastri ambientali, alle guerre causate dall’accumulo di ricchezze, alla fame causata dalle coltivazioni intensive solo per esportazione ed a tutte quelle malattie che non si possono curare per mancanza di fondi ma anche perché i brevetti delle multinazionali mantengono alti i prezzi di troppi farmaci.

Richiamiamo i governanti dei Paesi ricchi al fatto che spendono troppo per proteggersi da se stessi e troppo poco per creare le condizioni per un mondo di pace, che esiste un solo clima e che tutti lo devono proteggere ma ancora di più quelli che più lo hanno manomesso, che lo scenario futuro è legato ad un modello di sviluppo basato sui Diritti umani e che la finanza internazionale deve pagare il suo tributo al benessere di tutti attraverso una tassa sulle transazioni internazionali. La battaglia per un altro mondo possibile continua.