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Cooperazione, Riccardi: rischio estinzione, un dl per salvarla.
Roma, 27 Marzo 2012 – Il Ministro intervistato dal VELINO, lancia l’allarme sullo stato della cooperazione italiana e indica le linee per una riforma. Come motiva il fatto che i suoi predecessori, sia di centrodestra che di centrosinistra, non siamo mai riusciti a riformare la legge sulla cooperazione, nonostante avessero più volte manifestato l’intenzione di farlo?
“Forse mancava quel clima bipartisan necessario a una riforma condivisa in Parlamento e forse anche una riflessione più approfondita alla ricerca di un modello di cooperazione “italiano”. Soprattutto non era facile mediare sulle competenze dei vari dicasteri. Il testo unificato del 2008 è una base di partenza ma oggi il dibattito deve tenere conto dell’innovazione istituzionale rappresentata dal ministro e dal ruolo che può giocare la presidenza del Consiglio”.

Ritiene che il governo Monti possa prevedere un aumento degli stanziamenti per gli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) rispetto al totale del nostro Pil?
“Secondo quanto prevedono gli accordi internazionali, dovremmo stare allo 0,7 per cento, e invece siamo intorno allo 0,2 L’aiuto italiano avrebbe dovuto essere nel 2010 allo 0,51% per arrivare allo 0,7% del reddito nazionale lordo nel 2015, secondo gli impegni sottoscritti a livello europeo nel 2005. Nel 2011 siamo stati allo 0,19 se si calcolano anche le risorse messe per la crisi dei rifugiati dal Nord Africa. Ma le stime per il 2012 indicano, a legislazione vigente, un livello attorno allo 0,12%. Questo è il punto di partenza su cui si misurerà l’azione dell’esecutivo. Nel breve termine forse dovremmo pensare a un “Salva Cooperazione”, per evitare l’asfissia della cooperazione italiana, recuperando risorse; dal 2013 è possibile pensare ad un graduale riallineamento guardando alla media dei partner G8 e europei, garantendo incrementi modesti ma certi. Ma non si tratta di promettere rientri veloci e fuori da ogni parametro di finanza pubblica”.

Intende promuovere un nuovo concorso per l’assunzione di esperti Utc?
“E’ necessaria una riflessione sul possibile ruolo di nuovi esperti all’interno dell’UTC ma anche sulla ristrutturazione della stessa, garantendo il passaggio di esperienze. Il tema va comunque connesso a quello più generale della riforma”.

Ha intenzione di confermare le priorità territoriali di intervento definite e sancite dal governo precedente? Si concentreranno solo su Africa subsahariana, Iraq, Pakistan e Afghanistan o invece verranno riviste allargando al Maghreb, al bacino mediterraneo in generale e all’America latina?
“Le linee guida triennali 2012-2014 sono in fase di revisione e saranno anche condivise con gli altri attori di cooperazione al tavolo inter-istituzionale. Le linee guida triennali 2012-2014 approvate temporaneamente al comitato direzionale del dicembre scorso includono già le regioni che lei indica, come anche al Sahel”.

Veniamo alla questione dei contributi italiani agli organismi internazionali. A quanto corrisponde il nostro contributo volontario? Pensa che sia utile trovare meccanismi che consentano di promuovere progetti di sviluppo che abbiano ricadute positiva anche per la nostra economia e per l’occupazione?
“Le disponibilità per contributi ai bilanci generali degli organismi internazionali nel 2012 sono ai minimi storici: sotto il milione di euro. In una situazione di risorse scarse o inesistenti ci permette forse di fare una riflessione sulla qualità e sugli obiettivi che il nostro Paese vuole conseguire nelle differenti organizzazioni per posizionarsi globalmente, quasi una spending review dell’aiuto multilaterale che includa anche i contributi alle Banche e Fondi gestiti dal MEF. Il tema è: come incidere sulle loro politiche?”

Intende portare l’Italia a un nuovo tavolo negoziale con l’Onu a questo proposito?
“Prima dobbiamo chiarirci le idee come sistema di cooperazione, con una programmazione strategica che includa ONU e fondi di sviluppo”.

Che cosa è stato deliberato nell’ultimo comitato direzionale?
“Sono state deliberate molte iniziative finanziate dal decreto missioni internazionali, il 48% allocate all’Africa sub-sahariana, il 36% in Asia, tra Afghanistan e Pakistan e il 12% nei Balcani. Il dettaglio si può trovare sul sito della DGCS. Il Comitato Direzionale ha la potenzialità di evolvere da organo collegiale di natura amministrativa che approva a spazio per il confronto e coordinamento interministeriale, discutendo di strategie o valutazione”.

Ritiene possa esserci convivenza tra cooperazione allo sviluppo e cooperazione militare, secondo un modello “Negropontiano”?
“La pace è la premessa dello sviluppo, l’aiuto pubblico allo sviluppo aiuta la pace. La cooperazione militare non è in senso stretto aiuto allo sviluppo: si tratta di politiche autonome che devono essere coordinate. L’abbiamo fatto insieme ai colleghi ministri Terzi di Santagata e Di Paola nell’ultimo rinnovo del finanziamento alla missione italiana in Afghanistan”.

Un decreto “salva-cooperazione”, per permettere al nostro paese di ricollocarsi su parametri degni degli altri paesi del G8, quanto a risorse e a impegno concreto per i paesi in via di sviluppo. E’ quanto annuncia il ministro Andrea Riccardi che, intervistato dal VELINO sullo stato della cooperazione italiana, ha illustrato le linee di una riforma complessiva che da troppo tempo attende di essere compiuta. Una riforma non più procrastinabile, pena, secondo Riccardi, l’”estinzione” del nostro sistema di cooperazione, che però ha buone possibilità di vedere la luce, grazie al nuovo clima politico instauratosi col governo tecnico presieduto da Mario Monti, ma che deve tenere conto degli strettissimi vincoli di spesa pubblica imposti dalla crisi.

Signor Ministro, è soddisfatto di come funziona la Cooperazione in Italia, o ci sono delle cose da cambiare?
“La cooperazione italiana è disciplinata da una normativa vecchia di 25 anni ormai inadeguata. Inoltre essa è stata modificata nel tempo disarticolandola. Il quadro è diventato sempre più complesso e confuso. Infine il drammatico disinvestimento finanziario di questi anni, la contrazione della presenza degli uffici territoriali, la scarsa attenzione alla cultura della valutazione, la mancanza di una programmazione unitaria del sistema pubblico di cooperazione, la poca attenzione alla comunicazione, sono tutti segnali di un declino della politica pubblica cooperazione italiana. A bocce ferme si corre il rischio dell’estinzione”.   (ilVelino/AGV)