Il Cini promuove la legge sulla cooperazione: “Ma ora attenti all’attuazione”

coop bimimbiIntervista a Maria Egizia Petroccione, Portavoce del CINI
di STEFANO PASTA, Repubblica.it

Roma, 6 Agosto 2014 – Secondo Maria Egizia Petroccione, portavoce del Coordinamento Italiano Network Internazionale, occorre non abbassare la guardia sulla normativa: positiva sulla carta, deve ora affrontare lo scoglio dei decreti attuativi. Rimane la seria incognita dei privati profit: quali saranno i criteri per partecipare alla cooperazione?

“È un’ottima legge, ma serve mantenere alta l’attenzione in vista dei decreti attuativi, che su alcune fragilità potranno fare la differenza”. Questo è il giudizio sulla nuova legge sulla cooperazione di Maria Egizia Petroccione, portavoce del Cini (Coordinamento Italiano Newtork Internazionale), composto da ActionAid, Amref, Save the Children, Terre des hommes e Vis, ong con oltre un milione di sostenitori in Italia e presenti in oltre 100 paesi.

Perché era necessaria una nuova legge?
Quella precedente era del 1987: oggi la geopolitica è cambiata, paesi allora in via di sviluppo sono diventati emergenti, se non donatori. Durante il percorso parlamentare, la nuova legge ha recepito alcuni suggerimenti delle ong, come il chiaro riferimento ai principi della coerenza delle politiche e dell’efficacia dello sviluppo, l’istituzione di differenti organi di controllo, di un documento di programmazione triennale e di una relazione consuntiva sulle attività svolte.

Cosa intendete per coerenza delle politiche e efficacia dello sviluppo?
Il principio per cui le altre politiche di uno Stato (commerciale, energetica, ambientale…) non devono contraddire la politica della cooperazione. Siamo incoerenti se aiutiamo l’agricoltura di un paese del Sud del mondo, ma al contempo, a livello italiano o europeo, mettiamo delle barriere doganali per le importazioni dal Sud o esportiamo i nostri prodotti agricoli con sussidi. Con la nuova legge, per la prima volta, si fa riferimento a questo concetto e a un Comitato interministeriale (Cisc) per controllare che le politiche non direttamente di cooperazione siano compatibili con le finalità della cooperazione italiana. Questo concetto, come l’efficacia dello sviluppo, che ha sostituito l’efficacia degli aiuti e l’idea del donatore unilaterale, sono previsti da vari accordi internazionali, come l’Agenda Pro Action di Accra.

Parlamento, Viceministro, Comitato interministeriale, Agenzia, Consiglio nazionale: non è troppo? Non si rischia la burocratizzazione?
È un’architettura articolata ma equilibrata, molto dipenderà dai decreti attuativi. Il controllo a più livelli ci sembra importante dato che parliamo di soldi pubblici. Ora anche il Parlamento avrà questa funzione, a monte con la programmazione triennale e a valle con le relazioni sulle singole attività; tuttavia le Camere avranno anche poteri di indirizzo. Serve orientare la cooperazione: l’Ocse, che ogni 4 anni monitora i singoli Stati, ci ha chiesto di focalizzare i nostri interventi su un numero limitato di paesi (per l’Italia, storicamente l’Africa subsahariana e settentrionale) e di tematiche.

Quali fragilità e necessità di miglioramento vedete?
Nella legge, si riserva un ruolo centrale riservato al privato profit: noi non siamo contrari, avviene in molti paesi esteri, ma ci obbliga a molta cautela e soprattutto a vigilare in fase attuativa. Finora non sono stati stabiliti i criteri e le modalità per la partecipazione del privato: all’ultimo, con l’articolo 27, siamo riusciti a mettere nero su bianco che sono escluse le aziende che producono armi, ma per il resto c’è solo un vago riferimento agli standard internazionali. Pensiamo sia importante esplicitare che l’apertura al profit non debba nascondere “l’aiuto legato”, oggi molto diffuso: fondi in cambio di commesse alle fabbriche italiane, anziché a quelle locali. Infine, non vorremmo che l’enfasi sulla necessità di attrarre fondi privati per la cooperazione, tendenza che si sta affermando a livello internazionale, fosse una scusa per non incrementare, o peggio ancora diminuire, le risorse pubbliche. Ci sono paesi dove nessun investitore privato andrà mai e ci sono cose che nessuna azienda profit farà, ma che andranno fatte comunque.

Ci sono altre criticità?
Sì, varie ong avevano chiesto la costituzione di un Fondo Unico che raggruppasse tutti gli stanziamenti per la cooperazione, oggi dispersi tra vari ministeri (Economia, Esteri, Ambiente, Cultura…). Nella legge invece è previsto solo un semplice Allegato al Bilancio, ovvero uno schema riassuntivo delle risorse disponibili che tuttavia continuano ad essere gestire in autonomia dai diversi dicasteri. Inoltre, vediamo un rischio di sovrapposizione e di concorrenza tra la nascente Agenzia e quel che resterà della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) degli Esteri. Infine, il Consiglio nazionale ha un ruolo solo consultivo e non può autoconvocarsi, fatto che ne depotenzia notevolmente il peso e la portata.

Argomenti: CINI, ActionAid,  Amref,  Save the Children,  Terre des Hommes,  VIS,  ONG,  Cooperazione riforma della cooperazione