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Ong e imprese. Sto matrimonio s’ha da fare
Fabio Pipinato
Trento, 30 Settembre 2014 – Un seminario dal titolo “ong e imprese: un dialogo possibile per gli obiettivi 2015”. L’incontro è il secondo di quattro che animano il semestre 2014 di Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea. Sin qui bene. Un bel modo per prepararsi al 2015 – Anno europeo per lo sviluppo e con le carte in regola. L’Italia, infatti, ha approvato la legge di riforma sulla cooperazione internazionale (DpR 125/2014) che apre alla collaborazione tra ong e imprese. Una collaborazione al fine di conseguire gli obiettivi post 2015. Sto matrimonio s’ha da fare. Ma per farlo sarebbe bene, come in ogni matrimonio, partire con il passo giusto. Per esempio: che abbiano parola entrambi i partner che stanno per sposarsi e non solo il prete che li sposa. Abbiamo infatti assistito all’intervento di una dozzina di sacerdoti tra politici e funzionari, a fronte di una sola rappresentante delle ONG – una brava Maria Egizia Petroccione – ed una delle imprese.

La Pietroccione, in rappresentanza dei network AOI, Link 2007 e Cini (tutto è trino in Italia) ha interrotto la liturgia dando il benvenuto nel mondo della cooperazione alle imprese purché:

a) non intacchino il budget già esiguo delle ong,

b) comprendano la qualità dello sviluppo sin d’ora portato avanti,

c) siano salvaguardati i territori ove il profit non ha interesse d’investire in quanto non sono tutti paesi emergenti.

Mentre i sacerdoti pontificavano dal pulpito le ong scrivevano via twitter. Purtroppo con una buona dose di autoreferenzialità. Il Cuamm fa girare un video spot che pubblicizza le loro “buone pratiche”.  Interessanti sono stati alcuni cinguettii in contrapposizione a relazioni ossequiose. Il primo di Elena Como che indica nei privati la possibilità di promuovere business climate e business inclusivi. Paolo Signoretti ci segnala un’azienda che può elettrificare villaggi isolati. Solomon Tesfay avvisa le ong a non imporre programmi dall’alto in territori come l’Etiopia che mal s’adattano. Insomma, l’attenzione va in parallelo sull’on line e ciò che emerge dalla sala, e non solo dall’ambone, appare altrettanto interessante.

Mario Raffaelli, già cofirmatario della legge 49/87 (riformata dalla 125/2014), afferma che il tentativo di dialogo non è nuovo. Stava già nel 1987 poi boicottato da una sinistra che aveva sempre visto l’impresa come demone. Ebbene il dialogo ong/imprese fu affrontato già nel 2009 da Oxfam Italia con una rete di decine di ong. Gli atti sono on line (pdf). Le conclusioni di allora ci parlano di un’inevitabile partenariato che va oltre il ruolo “oppositivo e di denuncia” del non governativo. In Italia, da 15 anni, esiste un rapporto tra i due fidanzati che addirittura sembra maggiore che in Europa. Il rapporto auspicava:

a) una maggior conoscenza tra i partner che hanno diversi approcci e diversi linguaggi;

b) di uscire dall’autosufficienza. La supponenza delle Ong di “poter far senza” a lungo andare può rivelarsi un boomerang non solo perché le ONG si precludono altre fonti di finanziamento, ma anche e soprattutto perché esse rischierebbero in questo modo di perdere la possibilità di provare ad integrare in una prospettiva di sviluppo sostenibile un attore molto potente.

I margini per dire la propria, in sede di conferenza, erano esigui ma anche noi di Unimondo potremmo narrare qualche esperienza che provo a sintetizzare con il nome di 3 ditte:
Ferrero. Un nostro articolo allarmò la holding di Alba. Ne conseguì un dialogo profondo fatto di diversi incontri in diverse città d’Italia sino a stilare un bilancio sociale ove la ditta del sig. Ferrero s’impegnava entro una ventina d’anni a ricevere solo cioccolato da piantagioni sostenibili e certificate. Li seguiamo ancora passo dopo passo.
Intimissimi. Destina degli utili, assieme a Calzedonia, a favore del lavoro e della formazione al lavoro nei sud del mondo attraverso la Fondazione San Zeno. Ebbene; abbiamo avuto modo di incontrare il board della Fondazione per illustrare la nostra modalità di fare cooperazione. Stava in ascolto. Inutile dirvi che siamo diventati consulenti per alcuni progetti nei sud e che gran parte del cotone della famosa biancheria intima viene da coltivazioni certificate altrimenti faccio pubblicità indiretta.
Rio Mare. Alla famosa multinazionale avevamo rotto le scatole in quanto ci chiedevamo se effettivamente entro il 2017 avrebbero avuto una pesca sostenibile del tonno rosso. Ebbene, abbiamo dato la possibilità a Rio Mare di replicare evidenziando che proprio sulla parola sostenibilità vi sono state delle incomprensioni tra noi ong e loro impresa.

Insomma, sto matrimonio s’ha da fare. Ma prima cerchiamo di parlarci e capirci. Vale anche per i sacerdoti.

Fabio Pipinato