Cooperazione internazionale, l’Ocse dà i voti all’Italia. E non sono buoni

La pandemia di Covid-19 ha messo in risalto la rinnovata centralità delle azioni di cooperazione e solidarietà internazionali, che ha portato, di conseguenza, sia a livello politico sia organizzativo, ad un dibattito in merito al funzionamento dell’attuale sistema della cooperazione italiana, rinnovato nel 2014 con l’approvazione della Legge 125. E proprio su questo l’OCSE DAC conduce ogni cinque anni una Peer Review in merito all’efficienza, efficacia e coerenza delle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo dei suoi membri. Dopo la pubblicazione del Rapporto DAC a novembre scorso, qualche settimana fa è stata finalmente pubblicata anche la sua traduzione italiana: si tratta della prima Revisione dopo la riforma della cooperazione del 2014. Le ONG hanno partecipato al processo inviando al DAC un corposo documento di osservazioni nel novembre 2018, e incontrando la delegazione DAC nel marzo 2019. Data l’autorevolezza dell’Organizzazione e dei partecipanti alla revisione, è interessante riportarne, seppur schematicamente, le conclusioni, che possono fattivamente contribuire al processo di messa a punto di alcuni aspetti dell’attuale sistema della cooperazione italiana.

La valutazione della Peer Review ha mostrato, da una parte, forte apprezzamento per l’impostazione complessiva della Legge 125/2014, quella che al momento regola le azioni di cooperazione internazionale del nostro Paese, (aspetto legislativo, di strutturazione e organizzativo, e dei principi che la informano) ma ha altresì evidenziato tutte le carenze nella sua implementazione, dopo ben 6 anni dalla sua approvazione.

In particolare, come ONG/OSC, vogliamo qui evidenziare il valore dato alla concertazione multistakeholder: oltre alle Organizzazione della Società Civile, le Università, Regioni, Centri di ricerca, ed il settore privato, anche altri Ministeri sono infatti coinvolti in azioni di cooperazione, insieme alla Cassa Depositi e Prestiti, che la Legge individua come “braccio finanziario” per i programmi di aiuto. Questa pratica, tuttavia, benché concepita come uno dei cardini più innovativi della riforma, risulta nei fatti invalidata dalla non funzionalità di più livelli: il CNCS, il Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo, non viene riunito oramai da più di due anni, il ruolo di coordinamento e coerenza del CICS, il Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo si esplica in modo discontinuo, mentre CDP risulta ancora poco operativa. La Revisione punta il dito anche sul funzionamento dell’AICS, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione, altro cardine della Riforma, data la carenza strutturale di risorse umane per numero e formazione. A questo proposito il Governo ha finalmente approvato i termini di un Concorso che dovrebbe rimediare a tutto questo, almeno dal punto di vista quantitativo.

Altra criticità, più di merito, riguarda il nodo della coerenza delle politiche: non solo serve assicurare coerenza ex ante, nella fase di adozione delle policies, ma occorre assicurare capacità di analizzare, monitorare e verificare i risultati delle policies, e fornire feedback ai decisori perché possano modificarle. In particolare, per essere esplicativi, la Relazione evidenzia la necessità di discutere al più presto evidenti incoerenze sulle politiche migratorie. Questo è un punto politico fondamentale, sul quale in particolare le ONG/OSC hanno sempre molto insistito, soprattutto nella fase recente in cui le politiche del Ministero degli Interni giocavano un ruolo a dir poco distonico rispetto ai principi ispiratori della solidarietà internazionale e del rispetto dei Diritti Umani.

Anche in questa Peer Review, infine, come già in quella del 2014, si rimarca che gli strumenti per dare supporto alle ONG risultino inadeguati per permettere alle organizzazioni di esplicare la loro potenzialità: sono strumenti (i bandi/ i progetti) rigidi e amministrativamente troppo pesanti e costosi.

Non solo, sempre nelle raccomandazioni si indica che “L’Italia dovrebbe trovare il modo di capitalizzare i suoi punti di forza mantenendo e rafforzando il proprio sostegno alla sua fitta rete di ONG sul campo attraverso un supporto flessibile e diretto, in particolare nei contesti più fragili”. Il partenariato multistakeholder nella 125/2014 è dunque un valore innovativo fondamentale ma le risorse e gli strumenti a sua disposizione sono inadeguati: gli esaminatori auspicano quindi un approccio più ampio, di programma di medio termine, che valorizzi gli specifici attori del partenariato.

Solo per fare un esempio: la visita sul campo effettuata dagli esaminatori della PR in Senegal ha rilevato che, pur essendo questo uno dei paesi prioritari per la cooperazione dell’Italia, il livello di aiuti da noi destinati ad esso è ridotto (non rientriamo neanche tra i primi 10 paesi donatori), mentre considerevoli sono sia le rimesse della diaspora che vive in Italia che le relazioni commerciali. Si suggerisce quindi di andare oltre l’approccio per progetti, prendendo in considerazione i contributi di tutti gli attori per facilitare sinergie di sviluppo settoriali e intersettoriali.

Appare evidente, a questo punto, come sia indispensabile una discussione pubblica promossa dal MAECI in Italia su questi risultati. Tale discussione, appoggiandosi al rapporto DAC, potrebbe costituire un’occasione per avviare una riflessione per una ridefinizione strategica e delle priorità della cooperazione italiana, alla luce delle inedite sfide e degli effetti posti dalla prima pandemia globale di cui, a nostro avviso, c’è urgente bisogno. Pensiamo ad un processo che possa coinvolgere i diversi livelli: MAECI, il Ministero di riferimento con tutte le sue articolazioni compresa l’Agenzia, il DAC e gli stakeholders rilevanti: questo non è mai avvenuto. Il Parlamento stesso non ha mai avuto occasione di prendere visione e discutere le raccomandazioni espresse nel documento di revisione del DAC.

Sembra inoltre improrogabile l’avvio di una risposta organizzativa alle raccomandazioni del DAC. Il Piano efficacia recentemente varato risponde in parte a questa esigenza, ma il tavolo consultivo istituito per il suo monitoraggio non si riunisce da mesi. Inoltre, per dare risposte sul piano della coerenza, servono strumenti che vanno oltre il Piano efficacia. A queste osservazioni accostiamo le conclusioni, critiche ma costruttive, contenute in merito alla coerenza delle politiche nel Documento conclusivo di Coopera 2018, a quello rinviamo (qui).

E dunque, in conclusione: quali processi i diversi livelli del MAECI ( Ministro, Vice Ministro delegato, DGCS, AICS) intendono mettere in campo affinché sia data una risposta organizzativa alle raccomandazioni della Peer Review? A quando una discussione pubblica sui temi sollevati dal DAC, che è anche, di fatto, una discussione sull’implementazione della riforma?

*Silvia Stilli AOI, Raffaele K Salinari CINI, Paola Crestani Link 2007