6 luglio 2006 – L´esperienza dello tsunami ha segnato uno spartiacque nel sistema dell´aiuto per lo sviluppo in Italia e nel mondo. Allora ci siamo questi: è nato un nuovo modello replicabile ed esportabile, che possa essere travasato in un percorso di riforma dell´architettura che presiede all´impegno umanitario del nostro Paese?”: è nata così, secondo il portavoce del CINI (coordinamento italiani network internazionali) Raffaele Salinari la ricerca “Le operazioni di emergenza nelle aree del sudest asiatico colpite dal maremoto del 26 dicembre 2004. L´intervento del Dipartimento della Protezione civile”, svolta da ActionAid e Cini e presentata oggi a Roma. Una ricerca che, in 129 pagine, ripercorre innanzitutto il quadro degli interventi di soccorso e di ricostruzione messi in atto dalla cooperazione italiana, quindi approfondisce i meccanismi di gestione delle azioni e in particolare la trasparenza nella raccolta dei fondi e nel loro successivo impiego. “La ricerca rappresenta anche un´importante innovazione metodologica per la prima volta in Italia un segmento delle istituzioni (il Dipartimento della Protezione Civile) ha deciso, insieme alle Organizzazioni non governative, di valutare una procedura complessa che ha cambiato la storia dell´aiuto nelle emergenza. Un partenariato inedito, all´interno del quale restano tuttavia naturalmente differenziate le rispettive posizioni”, ha concluso Salinari.
Ciò che ha spinto i soggetti promotori a iniziare questo lavoro di ricerca è stato il bisogno di rispondere a una domanda fondamentale: cosa stava accadendo? “Nessuno poteva immaginare, in quei tragici giorni, le dimensioni e il profilo dell´intervento italiano”, ha affermato Luca De Fraia di ActionAid. “Da ciò deriva l´occasionalità e la contingenza con cui tale intervento si è dispiegato. Nella crisi dello tsunami si sono presentate ai nostri occhi delle novità fondamentali, che la ricerca vuole mettere in luce. Innanzitutto l´uso massiccio degli SMS e la forte tensione istituzionale nell´operazione di raccolta fondi. In secondo luogo, il ruolo particolare dei donatori privati, che hanno privilegiato un interlocutore istituzionale – il Dipartimento della Protezione civile – per la gestione dei propri fondi: ciò potrebbe rappresentare un rischio per l´indispensabile indipendenza dell´azione umanitaria da interessi di natura strategica o economica di tipo politico. Un ultimo elemento particolare è stato il cambio di marcia dell´intervento stesso, avvenuto a partire dal gennaio 2005, soprattutto a seguito delle ingenti risorse pervenute dai donatori: segno anche questo dell´occasionalità e dell´imprevedibilità di quanto stava accadendo”.
Alcune osservazioni riguardano poi il modello d´intervento e il modello di gestione. “Il primo (che chiama in causa il sistema Italia), esso è stato caratterizzato dalla pressione ambientale a ´fare subito´. Una pressione che sottolinea la divergenza tra gli interessi dei donatori e i tempi necessari per gli interventi stessi; ci siamo poi trovati di fronte a una molteplicità di attori coinvolti, rispetto ai quali però è stata debole la capacità di coordinamento”. Per quanto riguarda invece il modello di gestione, che chiama in causa in particolare il Dipartimento della protezione civile, “esso ha rivelato una grande capacità di adattamento e anche una notevole attitudine ad esercitare la funzione di ´padre di famiglia´, scegliendo gli enti attuatori e seguendone le azioni dall´inizio alla fine. Abbiamo inoltre rilevato una forte vocazione del Dipartimento alla trasparenza e al monitoraggio e un profilo molto simile a quello delle agenzie di missione, totalmente responsabili dell´intervento in tutte le sue fasi. Ciò potrebbe suggerire – ha concluso De Fraia – la possibilità di adottare questo stesso modello nella gestione dell´aiuto per lo sviluppo”.